Firenze, 25 marzo 1298: la scomunica di un frate della Penitenza

Nel medioevo a Firenze il 25 marzo era un giorno di festa solenne – l’Annunciazione di Maria – e rappresentava l’inizio dell’anno civile. Costituiva anche una data utile ai contemporanei per redigere atti che non sarebbero stati scritti se non vi fosse stata in città una cospicua presenza di persone non oberate dal lavoro e disposte a sistemare una tantum i loro affari.
Ciò valeva anche per le faccende religiose. Il 25 marzo 1298 ad esempio fu scomunicato un frate della Penitenza di Firenze, cioè uno di quei terziari (laici) francescani addetti alla cura di un ospedale, filiale dell’omologo di San Nicola in Fontemanzina nell’appennino di Firenzuola (1229).
I frati dimoravano nel borgo di Santa Maria Novella e operavano nell’istituzione con una sezione maschile, aggregata alla fine del duecento alla Casa della Misericordia, e una sezione femminile indipendente. Più tardi tale insieme sarebbe diventato l’ospedale di San Paolo dei Convalescenti, abolito nel 1780, ma la cui loggia fa ancora bella mostra nella parte meridionale della piazza (v. Davidsohn).
Il frate accusato nel 1298 lo fu per motivi che non sono resi noti dalla carta che ne parla. La scritta infatti ricorda solo come, nella solenne festività delle beata e gloriosa Vergine madre di Dio Maria, prete Salvi canonico della chiesa di San Lorenzo “immissorum” (trad.: degli ‘introduttori’, riferito alla causa) annunziasse la pubblica scomunica di frate Orlandino di Bencivenni “de l
a Polverosa” del popolo di Santa Maria Novella dell’ordine della Penitenza. Il canonico agiva su incarico “ministrorum fratrum de Penitentia de Florentia ex commissione seu mandato” di fra Andrea da Fabriano vicario e delegato al giudizio da Francesco vescovo di Firenze e da Matteo vescovo di Porto e di Santa Rufina, delegato della Santa Sede – secondo le lettere munite del sigillo della curia episcopale.
Questo avveniva perché domenica 23 marzo, “campanis pulsantis et candelis extitis” (al suono delle campane e presenti le candele), Orlandino, richiesto di comparire dai ministri dei frati della Penitenza, non si era presentato ed era diventato contumace. Da qui la scomunica.
Altro non è noto della vicenda se non che la breve pergamena fu scritta in San Lorenzo, presenti i testimoni Ventura di Spigliato e Meglio di Corbolano della parrocchia, mentre ne fu notaio rogatore ser Marchisello di Amatuccio di San Piero a Sieve.

Alcuni commenti sono d’obbligo, per ovviare almeo un poco alla limitatezza del contenuto e per comprendere il contesto e certi personaggi citati, importanti nella turbolenta vita cittadina e in quella altrettanto triste della Chiesa, allora retta da Bonifacio VIII. Se di prete Salvi è noto il patronimico “Ormanni”, perché nel 1287 fu tra i nove canonici – compreso il priore – della basilica di San Lorenzo (Memorie Istoriche ..., 1804), fra Andrea di Giacomo da Fabriano, invece fu molto più attivo e conosciuto.
Monaco silvestrino, dal 1298 ricoprì la carica di quarto generale del suo ordine e ne fu apprezzato storico. Nel 1326 venne nominato abate di San Gregorio di Roma, luogo in cui morì il I agosto dello stesso anno.
Scrisse, il “pio e dotto monaco”, la Vita del Beato Giovanni dal Bastone ..., edita a stampa nel 1613, De Vita, moribus, et miraculis S. Silvestri abbati ..., pubblicato tre volte nel 1599, nel 1612 e nel 1772, forse la Vita del B. Ugo Serra da San Quirico ...; e “pure gli danno il merito di aver ridotte in buon ordine e miglior forma le Regole della sua Congregazione, nel modo appunto che ancor’ oggi si vedono”. Così la Biblioteca Picena, tomo I, 1790.
Altro merito di fra Andrea fu la concessione il I luglio 1300 alla chiesa di San Marco, fondata dall’ordine nel 1299, della giurisdizione parrocchiale su tutto il Cafaggio della zona da parte del vescovo di Firenze Francesco (v. l’ Archivio del monastero di San Silvestro in Montefano, 1990). Ovvero fece assicurare all’istituzione una forte motivazione ecclesiastica e un reddito importante.

Il vescovo in questione era Francesco Monaldeschi da Bagnoregio (Viterbo), che reggeva la diocesi dal 1295. Noto come fine diplomatico, esperto di governo e di amministrazione e legato apostolico in Italia in posti ‘caldi’ da riportare a un certo ordine, già vescovo di Melfi e poi di Orvieto, doveva la sua nomina alla volontà del papa di porre un qualche rimedio alle discordie cittadine e a una situazione politica difficile. Non a caso proprio durante il suo governo, “il comune fiorentino promulgò un decreto che vietava l’assunzione della locale carica episcopale da parte di abitanti della città o del contado” (scrive N. D'Acunto, Dizionario Biografico degli Italiani, 2011).
E che fosse stato un pacificatore e anche benefattore della città, lo ricordano la promozione della costruzione della cattedrale di Santa Maria del Fiore (1298), della nuova cinta muraria cittadina (1299) e appunto del convento di San Marco.

Il vescovo fece parte del seguito del cardinale legato Matteo d’Acquasparta, il legato papale della scomunica citata. Minore francescano, teologo, vescovo di Porto e di Santa Rufina, era giunto a Firenze verso la fine del 1297, ma vi sarebbe tornato altre volte. Durante i soggiorni ebbe il merito di fare concessioni anche alla SS. Annunziata, ovvero due indulgenze riportate da altrettante pergamene e dagli Annali dell’Ordine.
Una fu datata 6 febbraio 1298, destinatari i fedeli pentiti e confessati che avessero visitato la chiesa le feste di San Michele, di San Giovanni, di San Giacomo, le loro ottave e il primo venerdì di marzo.
L’altra, del 21 settembre 1300, l’accordò a chi avesse aiutato fattivamente i frati nella fabbrica di Santa Maria.
La costruzione della chiesa e del convento doveva essere alquanto dispendiosa se l’anno prima, per lo stesso motivo, il consiglio dei Duecento del comune aveva stabilito la corresponsione ai Servi di 400 fiorini.

Paola Ircani Menichini, 24 marzo 2023.
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